martedì 1 aprile 2014

Irrinunciabili vagabondaggi

Si era deciso di uscire per spendere qualche ora, di denaro manco a parlarne. Uscire sì, ma da dove? Fuori di casa? Fuori dal passato e dalla memoria? Fuori dal buon senso? Fuori dall'essere tutti uguali? Vallo a sapere!

Eravamo sulla porta. Manco noi sapevamo se stessimo aspettando qualcuno che arrivasse con un bancale di motivazioni per andare avanti oppure aspettassimo il momento giusto, l'occasione ladra per cedere al fascino assai discreto della voglia di scendere nelle strade. Che strana tensione bruciava nelle nostre sigarette assieme al tabacco; non sai mai se è meglio tenerti il tuo tranquillo presente senza fascino oppure oltrepassare la soglia e dimenticarti per sempre quella porta.

Alla fine uscimmo fuori, vinti da un non ben precisato desiderio di disintossicazione dalle nuvole e dalla quotidianità. Sì, eravano partiti, alla ricerca di non si sa che, con non troppa convinzione. Ma eravamo affamati di stranezze e novità, eravamo pieni di biglietti del treno, tutti in bianco.

Ci sentivamo vogliosi di strade, piazze, giardini, panchine, idee, colori, passioni, novità. Nulla ci pareva potesse bastare. Ci chiamavamo insoddisfatti. Ma non eravamo frustrati, la nostra ideologia era semplice e rivoluzionaria insieme. Niente di politico o di sociologico, nessuna intenzione di ribaltare chissa quale "sistema", mai e poi mai avremmo avuto l'idea di predicare il nostro credo con le bombe. Il nostro manifesto era semplice e diceva solo questo: "dichiararsi soddisfatti è il peggior crimine che si possa commettere contro se stessi". Conquistata questa riga di verità, molti dubbi erano stati portati in discarica. L'autolesionismo della soddisfazione non ci apparteneva più. La rivoluzione e la lotta di liberazione erano dentro le nostre vene.

Arrivati alla stazione, nel pieno del nostro furore ideologico, salimmo su un treno a caso; la destinazione non ci interessava, tanto era lo stesso. Il convoglio cigola sui binari e parte, l'euforia ci invade, nessun interesse abbiamo per il tempo che passeremo sui quei sedili sudici ed appiccicosi, la destinazione che non conosciamo. Siamo in viaggio, odissea o via crucis che sia non conta, vogliamo solo andare. E stiamo andando.

Mesi e mesi di treno. Arrivi casualmente in una stazione, non sai quanto stai fermo e quando riparti. Si fa a turno per fare il palo sulla banchina e tutti gli altri scendono e di guardano attorno. Tutto è una novità: la fontanella, il chiosco dei giornali, i taxi, gli autobus, i finti mendicanti, i venditori di bibite e panini. E' tutto nuovo, tutto inventato poco fa. Persino il cielo, le nuvole, la pioggia sembrano invenzioni paradossali ed impreviste. Il compagno di viaggio di turno come palo lancia il suo fischio e si corre tutti a perdifiato, a rotta di collo per risalire sul treno. Cigolio delle ruote, si riparte. Adesso il treno è fuori dalla stazione, quello che abbiamo visto già non c'è più. Ma ci restano le tasche gonfie di ricordi, che culleremo per sempre. Siamo già aperti a nuove realtà che non ci aspettiamo, che non sappiamo nemmeno se esistono. Per questo siamo sempre vogliosi. Siamo aperti ad un presente sempre diverso, che è come essere aperti al futuro. 

Quante stazioni, quante piazze, quanti film visti dal finestrino, quanti treni che incrociamo, anche loro pieni di volti e di anime in viaggio. Si va, si va, si va. Sempre. Basta andare. 

Ogni notte non vorresti mai addormentarti, hai una vita intera da raccontare al vicino di sedile. Lo stesso i tuoi compagni di viaggio. La parola, tua e degli altri, ti sembra uno strumento magico, che crea la tua vita e la fa continuare per sempre. Niente esiste al di fuori di quello che si racconta, che sia la prima donna che ti ha preso com'eri, senza chiederti di cambiare, la prima bevuta con gli amici, la prima impennata con la moto, il primo giorno a scuola, la prima carriola di bicicletta con le rotelle per non spiaccicarti a terra, la prima N80 fumata di nascosto in stalla. Nulla esiste senza la parola e tutto la parola riesce a generare. Ci sono stati tempi dove ti hanno detto che non dovevi parlare. Era solo un trucco, banale ed infame allo stesso tempo, per dirti che non dovevi esistere, non dovevi essere te stesso ma quello che era già stato deciso per te. Adesso lo sai e sei orgoglioso di essere un uomo tutto sbagliato, ma come vuoi tu. Sbagli alla grande ma di testa tua. Una conquista immensa.

Ti senti bruciare dalla voglia di viaggiare e, allo stesso tempo, non ti sfiora per nulla la voglia di firmare. Hai deciso di scegliere con piena consapevolezza ed autonomia la tua personale strada senza senso compiuto. Ti senti meglio, ti pare di respirare, dopo tanti anni non senti più sul petto quella fottuta lastra di piombo che credevi fosse parte di te.

L'ennesima fermata del treno, abbassi il finestrino, un'aria tersa ti carezza i capelli e ti sta come dicendo che lei ti capisce benissimo, lei che per troppo tempo hanno voluto tener chiusa dietro troppe finestre. Lei è li e ti invita ad ascoltare lo squillo cristallino di una tromba ed i rintocchi di inenarrabile potenza e dolcezza di una grande campana. 

Ecco, ci siamo, la tromba e la campana ti chiamano, chiamano te, i tuoi compagni di viaggio ed anche altri milioni di persone di cui ti sembra di conoscere il nome, uno per uno. Niente masse di uomini e donne indistinguibili ma una grande moltitudine di volti, di passioni e di pensieri che ora ti sembrano familiari. Non squadre o reggimenti in parata ma un'unità trasparente di donne e di uomini, quelli che hanno nella testa intere biblioteche e quelli che sanno a malapena leggere, tutti assieme. Ma non conta da dove si arriva, e neanche dove si va, basta essere in cammino. La campana e la tromba suonano con una enorme potenza, una potenza che però non trasmette tensione o paura ma solo un messaggio: "rifiutate per sempre la schiavitù della mente, tirate la prima mazzata all'autocensura delle vostre emozioni, non vivete la vita di altri, non consumate le vostre scarpe su strade già disegnate altrove per voi". Messaggi così semplici da sembrare quasi banali, ma che da troppo tempo erano stati messi a tacere. Insomma, è tutto chiaro, occorre conquistare il principio, segnare il primo punto, ottenere la prima vittoria, quella a fronte della quale nulla potrà mai valere di più. La tromba e la campana altro non fanno che chiamare a raccolta te e milioni di altri come te per un motivo semplicissimo: il tempo dell'insurrezione è maturo. nessuna menzogna può essere contrabbandata a tempo indeterminato, prima o poi viene smascherata e, con enorme stupore, non se ne vede più il potere ma solo la meschinità e la piccolezza. Dopo troppo tempo e dopo troppa menzogna, era stata detta la verità, quindi era stato consumato un atto rivoluzionario, da quel momento in poi non si sarebbe più potuti tornare indietro. Era stato consumato un atto eversivo di una portata distruttiva, mai vista, ricordata o pensata prima.

Uno sgomento persino piacevole ci ha fatto vedere la curva della storia. E' finito un vecchio mondo. A dire il vero, l'assuefazione al verbo tonitruante dei profeti del dolore, sempre preoccupati di evitare il calo del livello di tristezza nel nostro sangue, aveva lasciato qualche traccia. Ci chiedevamo come fosse possibile quella nuova consapevolezza, come fosse possibile decidere per noi stessi. Ma quello spaesamento non è durato molto, spazzato via dalla forza della realtà e della verità che si spiega da se.

Eravamo come gli straccioni di Walmy: senza speranza prima di combattere, autori della storia appena finita la battaglia.

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