mercoledì 15 maggio 2013

Sukate verdi … sukate!!

Lo scorso 9 maggio è stata pubblicata la sentenza n. 85/2013, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale e dal Giudice per le indagini preliminari (GIP) di Taranto in relazione al D.L. 207/2012, convertito dalla legge 231/2012 (Decreto ILVA). Si tratta di una pronuncia di fondamentale importanza, poiché assicura la certezza delle regole applicabili a tutti gli impianti produttivi che hanno impatti sull’ambiente. Infatti, il Decreto ILVA consente agli stabilimenti in crisi di continuare l’attività a seguito del rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) da parte del Ministero dell’Ambiente, anche se sono stati adottati provvedimenti inibitori nell’ambito di procedimenti penali.

Il Decreto ILVA crea una cesura tra l’attività d’impianto - che deve continuare nel rispetto delle norme ambientali e sotto il controllo della Pubblica Amministrazione - e le responsabilità penali; ragionevole bilanciamento di interessi costituzionali parimenti meritevoli di tutela, quali il diritto al lavoro e all’iniziativa produttiva di cui all'art. 41 della Costituzione e la tutela della salute e dell’ambiente.

Breve descrizione del Decreto legge 207/2012
Il Decreto ILVA prevede una disciplina per assicurare agli stabilimenti di interesse strategico nazionale che versano in stato di crisi la continuazione dell’attività al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la produzione. Il Decreto si applica a tutti gli stabilimenti di interesse strategico nazionale, tra i quali rientra, per espressa previsione dello stesso, anche quello dell’ILVA, cui è dedicato un apposito articolo.

Sono stabilimenti di interesse strategico nazionale, ai sensi del Decreto, quelli che saranno individuati, di volta in volta, con DPCM. Per ottenere tale status devono ricorrere i seguenti requisiti:
  1. presso lo stabilimento deve essere occupato un numero non inferiore a 200 lavoratori subordinati da almeno un anno;
  2. assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione. Quest’ultimo requisito deve essere considerato come l’effetto dello stato di crisi, anche solo potenziale, in cui versa l’impresa titolare dello stabilimento.
Nell’impianto del Decreto “la crisi” assume un’accezione ampia, comprendente tutte quelle situazioni di carattere ambientale e sanitario che è necessario rimuovere per evitare pregiudizi all’occupazione e alla produzione (ad esempio, provvedimenti di sequestro della magistratura).
Per gli stabilimenti che presentano tali caratteristiche il Decreto prevede un'autorizzazione integrata ambientale (AIA) che viene rilasciata in sede di riesame del precedente titolo autorizzatorio. Ciò sul presupposto che si sia verificato un evento, che interessa l’ambiente e la salute, tale per cui è necessario il riesame AIA. L’impresa destinataria di tale autorizzazione può proseguire l’attività, per un tempo non superiore a 36 mesi, anche quando l’autorità abbia adottato provvedimenti di sequestro dello stabilimento. Inoltre, le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell’attività sono esclusivamente quelle contenute nel provvedimento AIA e nel decreto di riesame. Ciò comporta che all’impresa abilitata dal decreto di riesame non possono essere imposte altre condizioni (ad esempio previste da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, precedenti o successivi al riesame). Allo stesso tempo, però, l’efficacia dell'AIA è condizionata all’osservanza delle relative prescrizioni imposta dal Ministero in sede di riesame dell'autorizzazione, secondo il regime ordinario previsto dal Codice dell’ambiente, che prevede un sistema di controlli e sanzioni a seconda della gravità delle violazioni.
Il Decreto ILVA effettua un ragionevole bilanciamento di interessi di rilevanza costituzionale, rappresentati, da un lato, dall’occupazione e dall’economia e, dall’altro, dall’ambiente e dalla salute. Il provvedimento, infatti, predispone un impianto normativo diretto ad assicurare l’attuazione di politiche industriali, ambientali e sanitarie, nei casi in cui ricorrano eccezionali situazioni di interesse generale.
E’ alla luce di tale bilanciamento che si spiega la previsione del Decreto secondo cui rimane in capo all’impresa titolare dell’AIA la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti di interesse strategico nazionale, anche ai fini dell’osservanza degli obblighi disposti per legge o in via amministrativa. Obblighi che se non adempiuti comportano una sanzione pecuniaria fino al 10% del fatturato dell’impresa, che si aggiunge all’impianto sanzionatorio esistente.

Quanto all’ILVA, il Decreto calibra questo impianto normativo alla specifica situazione in cui versa lo stabilimento siderurgico tarantino. In particolare, il Decreto definisce l’impianto di Taranto uno stabilimento di interesse strategico nazionale, autorizzando l’ILVA alla prosecuzione dell’attività secondo le prescrizioni del decreto di riesame dell’AIA rilasciato lo scorso 26 ottobre.

Bilanciamento di interessi e natura giuridica dell’AIA 
La Corte ha negato la sussistenza - nel Decreto ILVA - di una illegittima compressione del diritto alla salute e all'ambiente salubre. Secondo i giudici costituzionali, infatti, la ratio della disciplina consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare la salute, da cui deriva il diritto all’ambiente salubre e il lavoro, da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso.
Al riguardo, l'aspetto maggiormente significativo è rappresentato dal fatto che la Corte ha osservato come non esista una gerarchia tra i vari diritti fondamentali. Essi infatti vanno bilanciati dal legislatore secondo un criterio di ragionevolezza e proporzionalità. Il bilanciamento realizzato con il Decreto non è apparso alla Corte irragionevole e sproporzionato, poiché la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è subordinata alla nuova AIA, che recepisce criteri di protezione ambientale assai stringenti, la cui osservanza è stata favorita da una implementazione del quadro sanzionatorio e degli strumenti di controllo. In particolare, l’autorità competente rilascia l’AIA solo sulla base dell’adozione, da parte del gestore dell’impianto, delle migliori tecnologie disponibili, di cui l’amministrazione deve seguire l’evoluzione. L’AIA è dunque un provvedimento per sua natura “dinamico”, in quanto contiene un programma di riduzione delle emissioni, che deve essere periodicamente riesaminato, di norma ogni cinque anni, al fine di recepire gli aggiornamenti delle tecnologie cui sia pervenuta la ricerca scientifica e tecnologica nel settore.
Sempre in riferimento all'AIA accordata all'ILVA, la Corte ha negato che tale autorizzazione sia stata oggetto di "legificazione", cioè sia stata trasformata dal rango di provvedimento amministrativo (come tale impugnabile e sindacabile anche dal giudice ordinario) al rango di fonte normativa primaria.

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